Il presidente della Repubblica Albanese Ilir Meta ha conferito oggi l’onorificenza “Madre Teresa” al Pres. Pier Ferdinando Casini, “in segno di apprezzamento della sua personalità di spicco come politico che incarna i più alti valori del parlamentarismo, del dialogo e della democrazia”.
“Un ponte di collegamento – riporta il decreto della Presidenza albanese – della permanente amicizia italo-albanese, la cui esperienza e visione hanno contribuito al rafforzamento della cooperazione strategica fra l’Albania e l’Italia e un fermo sostenitore dell’integrazione euroatlantica dell’Albania”.
L’intervendo del sen. Pier Ferdinando Casini
“Non vi parlerò dell’Italia, ma dell’Europa e non dell’Europa di ieri o di oggi, ma dell’Europa di domani, di quell’Europa che vogliamo ideare, preparare, costruire”. Prendo in prestito le parole pronunciate durante un discorso alla radio nel 1952 da Alcide De Gasperi, perché il ricordo di uno dei Padri fondatori dell’Europa dovrebbe indurre tutti a mettere da parte le tentazioni masochistiche ed euroscettiche e a partecipare convintamente al progetto di un’Europa sempre più forte, sempre più grande e sempre più vicina ai popoli europei.
Non c’è spazio oggi per le brusche frenate e non possiamo trascurare la legittima aspirazione a vedere riconosciuto oggi – a quasi settant’anni di distanza dagli albori dell’idea politica di Europa – il frutto degli sforzi, dei sacrifici, delle proposte che furono formulate dai Padri fondatori e che sono state raccolte e coltivate negli anni successivi dalle classi dirigenti europee.
Il dibattito sul futuro dell’Europa
L’Europa oggi si trova a dover fronteggiare nuove e impegnative sfide. Le minacce che, in questo momento storico, mettono a rischio – per la prima volta dalla firma del Trattato di Roma – l’integrità e la stabilità dell’Unione sono essenzialmente di due tipi.
1) La prima è di natura esterna ed è connessa alla nuova situazione geopolitica nel mondo: l’Ue è minacciata da Cina, Russia, dalle guerre e dal terrorismo in Medio Oriente e in Africa, ma anche dalla nuova amministrazione Usa che sembra mettere in discussione gli ultimi settant’anni di politica estera americana.
2) La seconda è di natura interna e riguarda l’avanzata dei sentimenti anti-Ue, nazionalisti e xenofobi all’interno della stessa Unione, che minacciano da dentro l’integrazione politica e i valori fondamentali della democrazia liberale.
L’idea di unificare l’Europa prese corpo in un’ottica e in un contesto di “guerra fredda”. Nacque come rafforzamento di quel patto fra i Paesi occidentali che, in difesa di valori comuni, doveva arginare la minaccia sovietica e promuovere un’ area di libero mercato.
Il benessere economico del dopoguerra, la crescita economica e civile e le interconnessioni fra le nazioni, hanno fatto da supporto a quello che a un certo punto sembrava un processo irreversibile e destinato a realizzarsi compiutamente.
Il sentimento europeista si consolidava nei fatti, diventando da ispirazione meramente intellettuale sorta fra le classi colte europee, un sentimento di massa.
Oggi, tutte queste condizioni non ci sono più: il mondo non è più bipolare, gli Stati Uniti sembrano poco interessati all’Europa in quanto tale, la crisi economica e il terrorismo islamico hanno pesantemente scalfito la fiducia e la speranza dei popoli europei.
Le stesse istituzioni europee vengono percepite più spesso come organismi burocratici e invasivi più interessati a regolare e normare, che ad affermare un interesse comune in nome di un comune sentimento europeo.
Il discorso pro Europa di Macron
Per queste ragioni, l’intervento sul futuro dell’Europa di Emmanuel Macron (andato in scena nella aula del parlamento europeo di Strasburgo lo scorso 17 aprile) si è incentrato proprio sulla necessità di rilanciare una nuova sovranità europea: “E’ necessaria una sovranità europea.
Macron ha delineato con chiarezza il forte rischio di una “guerra civile” strisciante nel nostro Continente e ha rilanciato la necessità di rifondare (e non distruggere come invece sostengono i movimenti euroscettici) un modello che sembra ormai in perenne crisi d’identità: “Non possiamo far finta di essere in un tempo normale, c’è un dubbio che attraversa molti dei nostri Paesi europei sull’Europa, una sorta di guerra civile europea sta emergendo: stanno venendo a galla i nostri egoismi nazionali e il fascino illiberale”.
A tal fine, Macron ha anche indicato una roadmap precisa: “Entro la fine legislatura dobbiamo raggiungere risultati concreti: un programma europeo per accoglienza e integrazione dei rifugiati; un’imposta a breve termine per il digitale, che dia risorse proprie per bilancio; riforma unione bancaria e stabilità di bilancio; sicurezza interna, fondo europeo di difesa. Ciò che ci tiene assieme è una cultura, non una moneta”.
La questione dell’allargamento
Molti Paesi hanno avanzato il dubbio che un ulteriore allargamento dell’Ue potrebbe portare più rischi che vantaggi all’Unione stessa. (Lo stesso Macron ha detto con chiarezza che sosterrà “l’allargamento solo quando ci sarà una profonda riforma della nostra Europa”).
Tuttavia, in molti – primo fra tutti il presidente della Commissione Ue Jean-Claude Juncker – continuano a credere che il futuro dell’Europa possa costruirsi solo completando la casa europea, offrendo ad altri Paesi una “prospettiva europea credibile” che possa cambiare i sentimenti collettivi e riportare in auge l’aspirazione a far progredire l’integrazione europea.
I Balcani
Ciò che siamo oggi, ciò che ci apprestiamo a costruire nel prossimo futuro è l’eredità di un pensiero fertile e di un’azione tenace, che ha raccolto consensi ben oltre le più rosee aspettative iniziali e che ha potuto alimentarsi, anche grazie alle trasformazioni politiche degli ultimi decenni, sorte dalle ceneri dei regimi totalitari di tipo sovietico e dall’affermazione di nuovi modelli delle relazioni internazionali.
In questa prospettiva, non dobbiamo dimenticare che i Balcani hanno da sempre fatto da palcoscenico ai grandi eventi che hanno segnato la storia del continente europeo.
La particolare posizione strategica, di ponte fra l’Europa e la Russia e fra l’Europa e il Medio Oriente, ha reso di fatto quest’area per secoli un vero e proprio centro nevralgico della storia europea e di scontro fra potenze di ogni continente. “Uno spazio che produce più storia di quanta possa consumarne” secondo Winston Churchill.
Negli anni Novanta, il crollo del Muro di Berlino e la conseguente scomparsa delle grandi entità multinazionali (URSS e Jugoslavia) hanno fatto registrare una nuova corsa all’integrazione di spazi vuoti, dando così origine alle guerre di secessione jugoslave che, non a caso, si sono situate sul crinale di una grande transizione geopolitica.
In quel contesto, la mancanza di una concreta azione politica da parte dell’Europa ha non solo impedito la ricerca di una soluzione, ma alimentato i contrasti esistenti.
Tutto ciò mentre in Europa la Comunità si apprestava a creare un mercato comune e a negoziare il Trattato di Maastricht per la creazione di un’Unione economico-monetaria.
Anche per questo, oggi, l’Europa ha il dovere di integrare quest’ area attraverso una strategia di sviluppo e di interconnessione regionale che metta a punto una solida rete infrastrutturale per agevolare e incrementare l’interscambio economico e le “contaminazioni” culturali necessarie a far nascere quel sentimento di appartenenza europea indispensabile per una vera e strutturata unione politica.
A tal proposito è importante ricordare che se l’Europa vuole guardare davvero alla Via della Seta come a un obiettivo strategico, la costruzione di ponti tra le due sponde dell’Adriatico deve avvenire il più rapidamente possibile.
Insomma, per questa regione che sta ancora facendo i conti con una storia molto recente, potrebbero spalancarsi presto formalmente le porte dell’integrazione europea. L’Unione europea potrebbe arrivare a comprendere 33 Stati nel 2025, compiendo la seconda fase di unificazione europea cominciata all’inizio del XXI secolo: fuori la Gran Bretagna, dentro Serbia, Montenegro, Macedonia, Kosovo, Albania e Bosnia-Erzegovina.
Io sono sempre stato convinto che il futuro dell’Albania sia in Europa e che gli albanesi – che hanno ancora vivo il ricordo di guerre che si sono concluse solo pochi anni fa – sappiano cogliere fino in fondo il valore dell’Unione europea, di quest’alleanza nata per portare pace e prosperità fra Paesi che si sono combattuti per secoli.
Per questo Paese non c’è alternativa al suo futuro europeo e il via libera di Bruxelles all’apertura dei negoziati di adesione dello scorso 17 aprile è un importante risultato per il quale l’Italia deve continuare a lavorare con determinazione.
Sebbene l’Albania abbia già compiuto numerosi passi in avanti in questa direzione, oggi le viene chiesto di proseguire nei suoi sforzi con rinnovata energia: dovrà conformarsi alle regole comuni e trovare una propria vocazione nell’ambito dell’Unione Europea cercando di ricondurre la propria specificità entro i grandi confini della nuova Europa.
Ma proprio la prospettiva di essere parte di un grande progetto europeo le permetterà di guardare con più ottimismo alle occasioni di stabilizzazione, di sviluppo del Paese e di adeguamento degli standard di funzionamento delle istituzioni, della burocrazia e dei mercati.